Non terrà la bocca chiusa. Tutt'altro. Tanto che non si avvarrà della facoltà di non rispondere. Al gip Francesco Mancini fornirà la sua versione dei fatti. Lo farà in presenza del suo legale di fiducia, l'avvocato Nadia Patrizi. Sosterrà di essere estraneo alla vicenda.
È fissato per domani l'interrogatorio di garanzia di Rinaldo Neccia (detto Ciccio), l'agente di polizia penitenziaria finito al centro dell'indagine scaturita dal ritrovamento di alcuni telefoni all'interno del carcere di Frosinone. L'uomo, stando alle accuse, si sarebbe incontrato più volte con le compagne e i familiari dei detenuti per ricevere denaro e cellulari. Tanto che in un caso Domenico Coppola, un'altra persona coinvolta nell'inchiesta, impossibilitato a trovare i soldi per concludere l'affare, avrebbe riferito alla madre di aver ottenuto lo sconto da Neccia: da 500 a 300 euro, invitando la donna, oltre a portargli dei salumi e altri generi alimentari, anche a vendere la motocicletta per reperire la somma. Dicendo pure di fare presto ed evidenziando che per ottenere il telefonino, che chiama «un coso di quelli» si serve «dei blu», riferendosi appunto a qualcuno della penitenziaria.
Gli incontri tra l'agente e i familiari dei detenuti, filmati dai carabinieri che erano proprio sulle tracce di Neccia dopo il ritrovamento di un telefono in una cella, avvenivano in zona, ma anche a Sabaudia: lì i carabinieri assistono alla consegna dello smartphone prima e dei soldi dopo. E notano che il poliziotto, dopo essere sceso da un'Opel Zafira, incontra un albanese che prima gli porge un involucro, che lui infila in un borsello, e che subito dopo «mette una mano in tasca - evidenzia il gip - e gli cede qualcosa, certamente le banconote. L'agente prende tutto e senza scrutarne il quantitativo, si allontana in direzione Frosinone».
Neccia, in altre circostanze, si preoccupava pure che i passaggi di denaro non erano tracciabili. «Io gli ho detto - dice in un'intercettazione - quando mi devi mandare qualcosa, che sono solo denaro, preferisco che me le manda con Western Union... Non c'è una tracciabilità, non c'è niente capito?».
L'accusa contesta anche «l'accettazione da parte del Neccia - scrive sempre il gip - di una promessa di denaro in cambio dell'introduzione in carcere di 50 grammi di hashish». I carabinieri, infatti, indagando sui telefonini, scoprono cose interessanti: i cellulari venivano usati anche da altri detenuti che se li passavano tra di loro. E, grazie al passaparola, altre carcerati sono venuti a conoscenza delle "modalità" con le quali ricevere un cellulare, ma anche droga. La guardia carceraria, stando alle accuse, per far passare gli ordini chiedeva somme che variavano dai 150 ai 500 euro. Tutto grazie alla mediazione di congiunti, mogli e compagne dei reclusi. Istruiti in tal senso, al telefono o durante i colloqui, i familiari venivano in contatto con l'assistente capo. Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, gli incontri avvenivano in bar o in parcheggi di Frosinone. Lì avvenivano gli scambi. I carabinieri, anche in questo caso, sono riusciti a filmare alcuni di questi incontri: l'assistente capo si sarebbe fatto consegnare i telefonini o la sostanza stupefacente, poi introdotti nel carcere. Con questo sistema avrebbe ottenuto 2.000 euro attraverso dazioni dirette di denaro e ricariche di una postepay. Ricariche avvenute mediante triangolazioni con persone non collegate ai detenuti per non destare sospetti in caso di controlli. Neccia, attraverso il suo legale, respinge le accuse. Ed è proprio per tale motivo che risponderà alle domande del giudice per le indagini preliminari.