Che non ci fossero abbastanza posti letto lo sapevamo. Che non ci fossero più barelle pure. Ma capire di aver superato ogni limite, di aver ampiamente calpestato quella linea immaginaria oltre la quale si annulla persino la dignità umana speravamo proprio fosse per noi una realtà ancora lontana. E invece no.

La storia della paziente “scaricata” ieri su una panchina per poter portare in Pronto soccorso un paziente più grave, per guadagnare qualche minuto in più in grado di fare la differenza tra la vita e la morte, racconta una delle pagine più brutte della nostra sanità. E non perchè il personale non sia preparato e pronto a vivere costantemente in trincea. Racconta di un ospedale moderno, grande, Dea di I livello - ma solo sulla carta - con medici e infermieri che svolgono un lavoro straordinario, giorno e notte. Che coprono turni massacranti. Ma senza i mezzi. Pensare che per poter far fronte alle emergenze si debba obbligatoriamente chiudere gli occhi sulla dignità di persone malate rappresenta per tutta la società civile una vera sconfitta.

Siamo in attesa dell’apertura di stazioni spaziali, ormai pronti all’imbarco per la navetta intergalattica, e non riusciamo ad avere barelle sufficienti per por- tare i pazienti all’interno dell’ospedale. La signora adagiata ieri mattina su una panchina per far fronte all’emergenza in corso al Santa Scolastica di certo ha ricevuto tutta l’assistenza e le amorevoli cure del caso. Ma è comunque stata fatta scendere per mancanza di strumenti elementari di lavoro. Sedie a rotelle comprese.

In Pronto soccorso la situazione non appare di certo più facile: pazienti ammassati ovunque. Persino adagiati nei corridoi. Qualcuno, durante l’attesa, ormai accaparrate tutte le sedie, ha deciso di sedersi addirittura per terra. Mentre il personale - ridotto all’osso e pronto a coprire turni improponibili - ha continuato a lavorare. Con la stessa abnegazione di sempre.