Era il 12 febbraio 2011 ma è come se fosse oggi. Si era nel pieno dell’emergenza profughi ora come allora. La gestione dell’enorme afflusso di immigrati dal Nord Africa ha portato la Corte dei Conti a condannare Antonio Salvati e Giovanni Federici per la gestione dei fondi pubblici stanziati dalla protezione civile.

I due sono stati chiamati in causa in qualità di presidente e responsabile del servizio affari generali, finanziari e tributari dell’Unione dei Comuni Antica terra di Lavoro, gestore dei fondi regionali assegnati per le attività assistenziali in favore dei profughi. La sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei Conti li ha condannati al risarcimento in via solidale e in parti uguali del danno di 208.580 euro a favore della protezione civile della Regione Lazio.

La Corte ricorda che l’Unione dei Comuni, non avendo proprie strutture, «avrebbe dovuto declinare l’incarico»,mentre, incaricava «senza effettuare alcuna gara la cooperativa sociale Noi (Nuovi Orizzonti Imprenditoriali)», si legge nelle motivazioni. Ciò «ha determinato l’affidamento illegittimo del servizio alla cooperativa sociale Noi, illegittimità tanto più grave» perché disposta senza accertare se la «cooperativa disponesse almeno delle strutture e dei mezzi per realizzare il progetto».

Infatti la coop si è affidata alla «società Linea alberghiera e Bovifel». Tuttavia, «mentre gli ospiti so- no stati accolti in pessime condizioni alloggiative e senza beneficiare di vitto adeguato e di assistenza socio/sanitaria, i convenuti hanno prodotto una rendicontazione non veritiera ed alterata negli importi che hanno dichiarato di aver speso. Le risorse pubbliche sono state erogate a fronte del deposito di una documentazione di spesa del tutto insufficiente, a volte anche palesemente contraffatta perché in alcun modo riscontrabile sia con le reali condizioni alloggiative offerte sia con il nu- mero di persone impiegate nella somministrazione dei servizi».

Il collegio dà conto dei disordini di ordine pubblico nel Frusinate «per le numerosissime criticità alloggiative dei profughi, letteralmente ammucchiati in strutture del tutto inadeguate che non potevano essere retribuite con i compensi richiesti dal soggetto gestore in sede di rendicontazione.

L’intento illecito era quello di lucrare sulla pelle dei migranti e a danno dell’erario spendendo il meno possibile per il loro soggiorno e sovrafatturando al massimo l’importo per ottenere il massimo previsto dei rimborsi». Per la Corte «le fatturazioni esibite non corrispondano alla verità dei costi sostenuti: ferma restando l’assoluta incertezza sul numero dei profughi».

Dunque «gli importi dichiarati sono da ritenersi sproporzionati e non reali anche per le dichiarazioni testimoniali». Da queste si evince «che il prezzo concordato per pensione completa di un profugo era pari a 30 euro al giorno e non quello più elevato indicato nella fatturazione».

Per la Corte «i rapporti tra i convenuti e la cooperativa Noi e la Linea Alberghiera s.r.l. sono stati tali da preordinare una condotta finalizzata a creare una realtà documentale fittizia con lo scopo di lucrare illecitamente risorse pubbliche» non dovute. «Su questa voce di danno che la Procura ha individuato nell’importo di 166.136 euro», il collegio ha operato una rideterminazione per le «spese di assistenza profughi realmente sostenute anche se non precisamente calcolabili».

La somma costituente l’addebito da sovrafatturazione viene rideterminata in 140.000 euro, «atteso l’esistenza del dolo contrattuale come specifica intenzione di lucrare sulle risorse pubbliche». La Corte evidenzia pure lo «sperpero di risorse pubbliche operata a favore di una quantità innumerevole di soggetti che hanno dichiarato di aver ricevuto compensi dall’Unione dei comuni.