In esposizione fino al 20 dicembre, la villa comunale di Frosinone ospita la mostra "Profumi di donne" di Ettore Gualdini, un'antologia di opere e bozzetti che esplorano il nudo femminile, amabilmente selezionate dalla nipote Eva.
Una sorsata di oceano e spremuta d'arancia, un tuffo nel mare calmo della contemplazione, tra le dune vertebrali di muse indaffarate nell'imperscrutabile cunicolo interiore. Gualdini gode del privilegio di un buco della serratura su un'oasi d'altrove, sbirciata nell'indolenza con cui l'intangibile femmineo si sfiora. Un brivido attraversa una sequenza di tele senza scandalo o pudore, intirizzite dalla brezza di un tepore inviolato, soleggiato e solo. Una produzione che attraversa il decennio degli anni 90 (cui si aggiungono chicche datate, rilevate dallo studio personale), in cui presenti sono le incursioni di vivande apparecchiate sul comò nel motivo della natura morta e arlecchini coinvolti nella galanteria di un baciamano.
Ritratti di schiene parlanti col sole, di orizzonti vagheggiati con la nuca inclinata occupano il piano di scorci che esaltano movenze cantilenate, andirivieni di spazzole e onde. Contorni cobalto e pelli di pesca delineano pose sinuose sulle geometrie di arredamenti abitati, invasi dal sovrappensiero di corpi stanchi e inafferrabilmente distanti. Racconti di mari, di specchi, di specchi nei mari, per non dire segreti. Schiusure d'oltre non catturano ma accettano lo sguardo distratto di osservatrici spiate dal paesaggio, in spiagge e stanze mai desolate, musicate da intendimenti confessati tra i denti dei pettini e sospiri incuranti.
Ante, persiane, panorami morbidi accolgono gli spigoli di gomiti retti, guanciali di sonni e riposi silenti.
Ventri accolgono la gravità e la rimbalzano nella mira di un sogno custodito a occhi chiusi, nell'affronto alla coscienza di chi si rimira con diffidenza alla ricerca di un tempo vissuto e disperso. Sull'uscio di uno spazio intimo e plateale si svolge lo spettacolo di una toletta assorta, tra le quinte di un retroscena riservato a pochi, dietro le tende agitate da uno spiffero di malinconia. Il fruscio della risacca risona nelle soste marine come lo scricchiolio del legno nelle camere da letto: orchestra discreta di un canto mimato, trattenuto sulle labbra. Un agguato alla vanità che si accarezza insistente, lontana da occhi indiscreti che non siano quelli con cui si indaga, celata da chiome fidate, unico abito dell'anima nuda. Custode d' eccezione l'artista che modula il suo istinto mite alla curiosità e con riserbo s'insinua, spettatore obbediente di una spoliazione che non reca difesa, coinvolto in un patto d'onore siglato con una firma onestamente gentile: Gualdini. L'ossequio alla sua parola di galantuono nel diritto, con garbo, a un'ammirazione educata.