Ci sono concerti che non si possono perdere. Per questo forse da settimane è caccia al biglietto per assistere alla performance di Renzo Arbore e dell'Orchestra italiana. L'appuntamento con il maestro è per sabato alle 21, Stadio Panico (in via Trecce). Lui in Ciociaria qualche incursione l'aveva già fatta ricevendo anche un premio, ma d'altronde il suo impresario è di Frosinone, per non parlare della sua amicizia con «er ciociaro Nino Manfredi, come veniva chiamato da noi amici. Della vostra terra amo un po' tutto, donne comprese».

Cosa fa per professione?
«Tento di fare l'artista e ancora ci sto provando».

L'arte è uno stato mentale?
«È il potere della fantasia. È una grazia straordinaria quella di essere un artista, anche se non sei famoso».

Come nasce la passione per la musica e per i grandi del passato?
«Nasce da ciò che ho sentito da bambino. Dal primo jazz che ho ascoltato, alla musica per banda, al clarinetto, alle prime canzoni napoletane che cantavano i muratori, alla musica accademica e lirica. Qualcuno mi accusa di guardare solo al passato. Non è così, anche se il compito di uno della mia età non è tanto quello di far conoscere novità; ce ne sono tanti di bravissimi che lo fanno. Ai giovani devo indicare, oggi anche attraverso la rete, quali sono le fondamenta del passato su cui possono costruire il loro futuro. "Non nasci imparato", si parte sempre da cose già realizzate, dai grandi classici. Se non ci fossi stato io a veicolare le grandi canzoni napoletane non sarebbero considerate appartenenti al passato neppure dagli autori partenopei».

Cosa l'affascina di queste canzoni?
«Sono le più belle melodie del mondo, insieme alla lirica. E poi i testi poetici. "O Mari quand sonne aggie perso per te" è un sonetto, o "Che bella cosa è na jurnata' e' sole" sembra una lirica di Leopardi».

E la musica contemporanea?
«Apprezzo molte cose. Ora c'è una nuova leva di cantautori che si muovono su territori assolutamente inediti. Sono bravissimi, Dente e Calcutta, sono da osservare con molta attenzione perché stanno guardando a un nuovo modo di scrivere le canzoni».

Lei ama l'America. Perché?
«È un melting pot di culture. Le ha accolte e fatte sue. Gli italiani lì hanno costruito molto».

È nota la sua passione per l'oggettistica...
«Amo gli oggetti della fantasia, dalle borsette curiose per donna, ai tulipani con la lampadina dentro, alle montature per occhiali bizzarre. Sono il più grande collezionista di oggetti di plastica perché grazie ad essa la fantasia si è scatenata».

Come si seduce una donna?
«Facendola sorridere, raccontandole cose che la possano affascinare e facendola parlare. Bisogna lasciarle parlare le donne, anche per comprendere il tipo».

Cos'è la fedeltà?
«La fedeltà è il rispetto della persona con cui si sta bene. La scappatella non è nelle mie corde. Se ho un amore mi piace essere fedele».

Molte sue trasmissioni, soprattutto quelle con Gianni Boncompagni, hanno rotto gli schemi di Rai un po' ingessata. Come eravate visti?
«Eravamo due "Pierini", facevamo delle malefatte che poi venivano giustificate con la complicità di qualche bravo dirigente della radio. Dicevano:"Non è che quando parlano Arbore o Boncompagni parla la radio, parlano loro". Eravamo due con licenza di uccidere».

Innumerevoli le trasmissioni di successo. A quale è più legato sentimentalmente?
«A molte. Nel cuore ho "Cari amici vicini e lontani", cinque puntate bellissime con tutti protagonisti che hanno fatto la radio e le canzoni dell'epoca. E poi sono legato a Quelli della notte, un grande successo».

C'è un film, una canzone che porta nel cuore?
«Sono tante le cose che mi hanno segnato. Su tutto, forse, "Era di maggio" e una canzone americana, "Polvere di stelle". Ora mi sta emozionando moltissimo un programma che sto preparando con Fabrizio Corallo. È dedicato all'arte di Mariangela Melato e andrà in onda a novembre».

Tra tutte le sue molteplici espressioni artistiche, dov'è che esce la parte più intima e vera di Arbore?
«Nei concerti, quando la musica mi emoziona. Tutto ciò che ha fatto parte dalla mia sensibilità musicale, dal jazz, dal gusto di improvvisare, di suonare e cantare, di portare allegria ed emozione. Ora mi sento a mio agio quando sono sul palco. Dopo il 22 a Sora, il 24 luglio sarò all'auditorium Parco della Musica di Roma».

Le scoccia più farsi i selfie con gli ammiratori o essere intervistato?
«Fare i selfie, perché qualche volta gli ammiratori non sanno neppure perché lo fanno oppure non sanno bene chi sono. Il selfie fa piacere fatto con ammiratori veri».

Molti grandi amici non ci sono più. Il suo concetto di vita e di morte è cambiato?
«Un po'. Non sono rassegnato all'idea di non vederli più. Spero che siano da qualche parte, sono la mia famiglia e mi mancano anche se sono un "think positive". Al liceo feci un tema sull'arte come consolazione. Ora ne ho capito pienamente il senso. Quando tu hai l'arte ti consoli riuscendo a sopravvivere alle mancanze, ai lutti».

Quale domanda che nessuno le ha mai fatto si farebbe?
«Ma lei ci è o ci fa?».

Entrambe?
«No, io ci sono».