Stanchi delle solite vacanze? Allora dovrete affidarvi all’originale “L’Isola di plastica”, del romano Marco Caponera, scrittore e sceneggiatore di corti, web series e spettacoli teatrali. Nel suo romanzo, pubblicato da Alter Ego Edizioni, l’autore ci immerge, sia pure con toni ironici e talvolta comici, in una situazione degna dei nostri peggiori incubi: quante volte quelli di noi che hanno un minimo di coscienza ecologica hanno pensato infatti ad un mondo in cui la spazzatura ci sommergerà?

Ancora peggio su quest’isola, in cui i rifiuti sembrano ribellarsi agli uomini che li hanno prodotti e stanno per prendere il sopravvento. La vicenda si svolge su un’isola fatta appunto di rifiuti e generata da un vortice naturale che attira la spazzatura riversata in mare da ogni parte del mondo. I personaggi che si muovono su questo gigantesco “blob” di plastica sono reali e surreali al tempo stesso, a partire dal protagonista: un trentenne sfigato e precario (nella vita e nel lavoro) che, credendo di dover fare l’operatore turistico, si troverà ad essere il responsabile dello smaltimento.

Oltre a lui, sull’isola compaiono un’improbabile coppia gay di vacanzieri in cerca dell’avventura, che fotografano tutto in maniera compulsiva; una reincarnazione in plastica di Gesù, dai modi maleducati e dal linguaggio volgare, che non sa bene quale sia il suo ruolo; una bambola di plastica che nonostante le sue forme rigide inspiegabilmente genera nel protagonista grande attrazione erotica; infine, una schiera di omini “plasticosi” (privi di volto e di espressione) che lavorano a ritmi da stakanovisti per portare a compimento la sistemazione delle montagne di rifiuti e che ricordano gli individui epsilon de “Il Mondo Nuovo” di Aldous Huxley, caposaldo della letteratura distopica.

Qui dove siamo, nell’utopia o nella distopia? Che scelga il lettore, anche perché, come sembra suggerirci l’autore, la differenza potrebbe essere meno netta di quanto si possa immaginare. Caponera, con dialoghi a metà tra il non-sense e la comicità che nascono da situazioni spesso esilaranti e sempre paradossali, avanza (senza mai prendersi troppo sul serio, ed è proprio questa la forza più grande de “L’Isola di plastica”) una feroce critica nei confronti della nostra società, votata al consumismo più sfrenato, verso il mondo del lavoro precario e sfruttato, ma soprattutto verso un’umanità che non ha più nulla di umano: né volto, né nome, né tantomeno un residuo di capacità critica. E quindi, tutto sommato, non è forse meglio essere il re dei rifiuti, piuttosto che un rifiutato?