È venuto a mancare ieri notte, alla veneranda età di 90 anni, Chuck Berry. Nei "coccodrilli" letti in queste ore, per descriverlo sono stati usati vari appellativi – per certi versi tutti giusti: "pioniere del rock", padre fondatore del rock", "inventore della chitarra elettrica". Effettivamente, il musicista di Saint Louis, Missouri è uno degli esponenti più rappresentativi del movimento musicale nato negli anni '50 e diventato poi di massa nella decade successiva.

Ma non è solo questo: Berry, grazie alla sua presenza istrionica sul palco e alle doti di compositore prima e di chitarrista poi, ha ispirato decine – anzi, centinaia – di band. E non parliamo di band qualunque, ma dei Beatles, i Rolling Stones, i Beach Boys ("Surfin' USA" è un omaggio ai limiti del plagio di "Sweet Little Sixteen"). La forma compiuta delle sue canzoni seguiva uno schema fisso e ben preciso: nei due/tre minuti del brano, Chuck raccontava una storia, né più e né meno. Gli argomenti di tale storia erano sempre il liceo, le macchine, le ragazze, il lavoro (spesso insoddisfacente e frustrante). In parole povere, questo dinoccolato ragazzo di colore con la faccia di gomma, ha raccontato l'America degli anni '50. E lo ha fatto forgiando il rock ‘n' roll e portandolo alla sua massima espressione forse anche più di Elvis, Jerry Lee Lewis e Johnny Cash.

L'uragano esplose in tutta la sua forza dirompente nel 1955: messo sotto contratto dalla celeberrima Chess Records di Leonard Chess (che lanciò, tra gli altri, anche Presley, Jerry Lee Lewis e Muddy Waters), nell'arco di un anno scarso incise alcuni dei capisaldi del genere, rivoluzionando un genere ancora agli albori. Come? Mettendo la chitarra al centro di tutto. Ecco, se Berry ha un merito assoluto, è quello di aver reso lo strumento a sei corde il vero protagonista delle canzoni. Da quel momento in poi, nulla sarebbe più stato come prima.

"Maybellene", "Roll Over Beethoven", "School Days", "Rock and Roll Music", "No Particular Place To Go", ed ovviamente "Johnny B. Goode" e "You Never Can Tell": nel giro di sei anni Chuck diventa l'idolo di milioni di giovani americani con il sogno del rock ‘n' roll. Vende una quantità quasi vergognosa di dischi e ruba la scena ad Elvis, tenendo più di trecento concerti all'anno. All'inizio dei '60 la sua stella sembra essere oscurata dalle tante band in rampa di lancio: si tratta però – è bene ricordarlo – di ragazzi cresciuti con i suoi dischi sul piatto, che non solo lo imitano nei loro brani originali, ma pagano il giusto tributo con un'infinità di cover. A partire dai Rolling Stones: Jagger e Richards si sono conosciuti grazie ai dischi di Berry, passione comune, e hanno dato vita a tutto quello che sappiamo. Lo stesso dicasi per i Kinks, gli Who, i già citati Beatles… Nessuno è rimasto immune dal potere della chitarra e, ovviamente, della leggendaria "duck walk".

N.B.: il video che segue è tratto dal film "Hail! Hail! Rock and Roll!", girato per i sessant'anni di Berry. Sì, qui ha sessant'anni… Qualcuno ha detto "patto con il Diavolo"?

Nonostante negli anni la musica si sia inevitabilmente modificata ed evoluta (ma è davvero così?), il buon vecchio Chuck ha continuato a girare gli USA, capello imbrillantinato, baffetti sempre curati e, ça va sans dire, la fedelissima chitarra a tracolla. Suonando, che è sempre stata la cosa che gli riusciva meglio e che amava di più. Questo faceva Chuck Berry, questo fa il rock 'n' roll: accende un fuoco all'interno dell'anima di ognuno di noi, un incendio che spesso la vita moderna ci costringe a smorzare. Non a spegnere, sia chiaro, perché quelle fiamme non possono essere estinte in alcuna maniera. Ci piace immaginarlo così anche adesso, ovunque si trovi: ad intrattenere un pubblico immenso, con la sua faccia da schiaffi e le scarpe lucide, mentre ci ricorda che "se vuoi farmi ballare, ci deve essere il rock and roll". Perché, senza quello, che diavolo di vita è?